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Werner Lambersy, Maestri e case da tè, Kolibris, Novembre 2011

Collana Orly – Poesia belga contemporanea
WENER LAMBERSY, Maestri e case da tè
Traduzione di Chiara De Luca
Prefazione di Lokenath Bhattacharya
Postfazione di Vincent Engel
ISBN 978-88-96263-58-7
pp. 290, € 15,00

LETTURA

ELEMENTI DI ANALISI

di Vincent Engel

La poesia non è concepita come la prosa, neppure quando, come in questo caso, si traveste da prosa. La sua struttura è più volatile, più aerea, e le sonorità vi occupano un posto preponderante, a tal punto che si può quasi, per il tempo della lettura, non lasciarsi guidare da questo canto, incuranti del messaggio che veicola.
Nel complesso dell’opera di Lambersy, Maestri e case da tè rappresenta certamente una tappa fondamentale, e ha ottenuto un successo considerevole.
L’idea di questo libro è scaturita dalla lettura di un testo giapponese sulla cerimonia del tè, che suggerì al poeta la struttura ideale per una raccolta. Lambersy non si nasconde: l’importante è l’atmosfera, il lato ideale del rituale. La cerimonia diviene perciò occasione di un incontro in condizioni perfette, attorno a qualcosa di accessibile a tutti. Nella scrittura questo sfocia nella costruzione di uno spazio immaginario: il portico, soglia di trasgressione – apertura di un libro o incontro con una persona –; il viale, penetrazione, che si può intendere a più livelli; la casa, o l’anticamera è il luogo dove si sogna quel che succederà nella stanza. In essa avverrà l’incontro con l’assoluto, qualunque sia il nome che ciascuno gli dà.
L’invitato, l’iniziato è una persona dotata di cinque sensi (le bambole) stando alla visione occidentale, o di sette sensi se si aggiungono l’immaginario e la memoria. Il maestro è quel che l’invitato sceglie che sia, e finisce per sostituirsi a quest’ultimo. Ciascuna casa – della fantasia, del vuoto e dell’asimmetria – ha il suo maestro: il linguaggio e il silenzio, la solitudine, l’amore. Il tè a suo modo simboleggia i quattro elementi fondamentali; la terra, da cui è scaturito, l’acqua, il fuoco per scaldare l’acqua, e infine l’aria, in cui si propaga l’essenza del tè, il suo profumo.
La raccolta si apre e si chiude con strofe in verso libero, mentre il resto del testo è costituito essenzialmente da prosa poetica (o da poesia in prosa) in cui la punteggiatura è pressoché assente – in questa edizione, i punti e virgola sono stati soppressi, e non restano che alcuni rari due punti. All’inizio di ciascuna delle due parti il poeta lascia la parola ai propri rappresentanti, che sceglie con grande cura; ora citazioni brevi, ora un testo (Lokenath Bhattacharya). Il passaggio dal quasi vuoto delle prime e delle ultime pagine al pieno del corpo del racconto corrisponde, tipograficamente, al luogo dell’iniziazione: un viale tracciato con rigore, una casa delimitata dalle proprie mura. All’inizio, di contro, regna l’ignoto, e alla fine, la realizzazione, la rivelazione di un linguaggio nuovo e dell’amore fisico. 
Il testo termina senza punto finale, così come iniziava senza maiuscola: la forma tipografica della fine corrisponde a quella dell’inizio; le ricerche sono eterne, così come il ritorno alle domande essenziali.
L’essenziale risiede in questa assenza di punteggiatura, in questi vuoti significanti che spezzano la frase, donandole il ritmo ma anche il senso. Questo ci porta a parlare dei tre dati importanti: il linguaggio opaco, il frammento, e il ritmo.

Nel suo studio delle 33 Scarificazioni rituali dell’aria, Colette Decabooter valorizza bene le nozioni di frammento e di linguaggio opaco, così come le impiega Werner Lambersy. Il linguaggio opaco persegue più di una finalità: per prima cosa, vuole evitare che il lettore dia troppo presto un senso alle parole. Il poeta auspica che il lettore si lasci andare, guidare dalle sonorità delle parole che s’interpellano a vicenda. Non bisogna cercare di «comprendere quel che l’autore ha voluto dire»; bisogna prima di tutto lasciarsi prendere dal canto del testo, dal suo movimento. L’obiettivo di un simile linguaggio è quello di ritardare il più possibile il fissarsi di un significato definitivo, sia della parola che del testo. Così, le prime parole di Maestri e case da tè depistano particolarmente il lettore, perché sembrano negare il titolo stesso della raccolta e quindi ciò che deve seguire: “non ci sono case da tè / i maestri non regnano su nulla / ma è importante che regnino […] nella casa da tè / i maestri non regnano mai / il regno non ha più importanza”. Casa da tè, letture, eterne riscritture che fanno i maestri, l’autore e i suoi lettori. Quel che si credeva esistesse non esiste forse più, e soprattutto il senso che si potrebbe, troppo frettolosamente, attribuire alle parole, per superare l’angoscia che proviamo di fronte a quel che non comprendiamo. I primi passi nel viale, nella lettura, inciampano così regolarmente su apparenti contraddizioni: “percorrendo immobili / un cammino partire quando si è partiti / già da molto tempo per arrivare dove da sempre si era arrivati”.
A suo modo il linguaggio opaco si unisce al vuoto mistico per aprire la porta a ogni potenzialità: “passare purissimi / la soglia verso una inconcepibile purezza / danzare gravemente con l’albero senza / interrompere i segni visibili della marcia / danzare con questi venti di vuoto dove / nascono stelle che si scostano”. Il dovere è quello di costruire: costruire una casa immaginaria, costruire una lettura, un amore: un edificio d’aria e di ritmi affidati alle forze dell’oblio.

Per scoprire la molteplicità di possibili letture di questa raccolta (come d’altronde di qualsiasi altro testo), il lettore deve sottomettersi non soltanto alle sonorità, al canto del testo, ma anche, e soprattutto, al suo movimento, al suo ritmo. Frammento e ritmo sono, ciascuno al suo livello, elementi costitutivi del linguaggio opaco.
Il frammento, questo pezzo di frase isolato dagli spazi che lo circondano, sembra fisso, immobile, autosufficiente: serenità del vuoto. Testo in attesa o attesa del testo, che contribuisce anch’esso a «ritardare la coincidenza della parola e della realtà concreta» . Perciò, attraverso il vuoto stesso che la circonda, essa chiama il movimento, la lettura, l’avanzamento, proprio come nella musica le note hanno bisogno dei silenzi per staccarsi le une dalle altre e costituire la melodia. Così appariva la contraddizione: il testo, fisso, immobile, chiama il movimento della lettura. Il lettore ha dunque un ruolo di ri-creatore (con la parola ri-creatore si può intendere sia ri-creazione, nuova creazione, sia ricordare che la lettura è sempre un gioco: gioco, anche come quello di una tavola da disegno malferma). La musica non nasce dalla partitura, bensì dall’interpretazione. Opacità, frammento, ritmo, tutto si mescola in questo concerto in cui il lettore si lascia trascinare. Gli spazi stessi cessano di essere un non-luogo dove non si dice nulla: divengono lo stupore di tutto il possibile, di tutto quel che non è detto esplicitamente, ma si lascia desumere, creare: sono lo spazio su cui il lettore pone i suoi passi.
Il ritmo segue da molto vicino l’iniziazione, che descriverò più avanti. Esso è irregolare, cambia a seconda dell’argomento di cui si tratta, facendosi più affannoso quando si evoca l’amore dei corpi, più calmo quando si parla della cerimonia. Attraverso queste rotture, questi cambiamenti, esso raggiunge l’andatura dell’iniziazione che dà l’impressione, nel suo descriversi, che tutto sia già stato vissuto, che si tratti di un costume rituale, anche se ogni volta unico: ma era ieri eppure resta indefinitamente da rifare. Dunque i due progetti, quello dell’iniziazione e quello della lettura eternamente differita, si uniscono. Allo stesso modo, la raccolta, nella sua struttura, forma un anello: si chiude così come comincia, con l’interpellanza del maestro, e richiama il gioco necessario sulle parole: “maestro / bisognerebbe proprio / ti chiamassi così // non sapevo donare / neppure appartenere // ora noi ridiamo / quando ci va / di usare parole”.

attendere senza sapere se entrare è ancora
attendere o no percorrendo immobili
un cammino partire quando si è partiti
già da molto tempo per arrivare dove da
sempre si era arrivati passare purissimi
la soglia verso una inconcepibile purezza
danzare gravemente con l’albero senza
interrompere i segni visibili della marcia
danzare con questi venti di vuoto dove 
nascono stelle che si scostano
andare per attendere senza sapere se entrare
era la sola cosa da fare o non fare

attendre sans savoir si entrer est encore
attendre ou non avec à parcourir immobile
un chemin partir alors qu’on est parti
depuis longtemps pour arriver où depuis
toujours on était arrivé passer très pur
le seuil vers plus de pureté qu’on n’imagine
pas danser gravement avec l’arbre sans
interrompre les signes visibles de la marche
danser avec ces vents du vide où naissent
des étoiles qui s’écartent
aller pour attendre sans savoir si entrer
était la seule chose à faire ou pas

oltre nella calma del giardino di un corpo su un sentiero di poche pietre nella passione serena di un’erba fitta avvicinamento delle effigi che non chiedono nulla divinità sorde della pietra del legno… e del viso fuggiasco filigrane sfatte e indecifrate quando molto in alto nei venti arde una nuvola per passaggi impossibili oltre la pioggia totem e simulacri sacri le cui imitazioni di maschere si chiudono senza riconoscere nessuno e si allontanano rigide con gli occhi rivolti all’interno figure e cifre del respiro che culla la fecondità spaccata degli amuleti e dei segni tra la bocca e l’abisso

au-delà dans le calme d’un jardin d’un corps par un sentier de quelques dalles dans la passion sereine d’une herbe drue approche des effigies qui ne demandent rien dieux sourds de la pierre du bois et du visage enfoui filigranes indéchiffrés et défaits quand très haut dans les vents brûle un nuage pour des passages impossibles au-delà de la pluie totems et simulacres sacrés dont les masques imités se ferment sans reconnaître personne et s’éloignent figés les yeux tournés vers l’intérieur figures et chiffres du souffle que berce la fécondité fendue des amulettes et des signes entre la bouche et l’abîme

(tetti a livelli differenti perché la pioggia rimbalzi muri leggeri che si spostano senza fondamenta durature tracce d’usura permanenza né niente) un testo un corpo un tempo una tenda nomade una casa da té serenità del vuoto dalle fessure dei giunchi la penombra e lo sfregamento dei pini neri sull’assito appena una stoppia di stelle una china di tegole fragili sotto il gelo un recipiente di pioggia per i cornicioni un pozzo nello spazio dove grava l’aria dove poggia la colonna della voce un luogo di pace provvisoria di squilibrio domato di disciplina priva d’impazienza e di tensione più forte un margine centrale un tronco bianco da cui i rami della frase irraggiano un luogo apposito dopo l’attesa e i preparativi un luogo riservato da sé stesso confinato per l’incontro il raccoglimento e il pericolo il fallimento e la fortuna di vivere dove quelli s’incontrano saranno i maestri immortali dell’effimero così le labbra saldate sul loro silenzio precedente per dire di separarsi e unirsi ancora 

(des toits à différents niveaux pour que rebondisse la 
pluie des murs légers qu’on déplace sans fondations durables traces d’usure permanence ni rien) un texte un corps un temps une tente nomade une maison de thé sérénité du vide par la fente des joncs le demi-jour et le frottement des pins noirs sur la cloison à peine un chaume d’étoiles une pente de tuiles fragiles sous le gel un récipient de pluie par les corniches un puits dans l’espace où pèse l’air où prend appui la colonne de la voix un lieu de paix provisoire de déséquilibre apprivoisé de discipline sans impatience et de tension plus forte une marge centrale un tronc blanc d’où rayonnent les branches de la phrase un lieu exprès après l’attente et les préparatifs un lieu réservé enclos par lui-même pour la rencontre le recueillement et le danger l’échec et la chance de vivre où ceux-là qui se rencontrent seront les maîtres immortels de l’éphémère ainsi les lèvres soudées sur leur silence avant pour dire de se disjoindre et de s’unir encore

dove allora la poesia l’ospite quello che riceve mostrandosi nell’abito senza pieghe dritto un poco teso bianco per le impressioni ripetute (volo d’anatre in un cielo senza cucitura né cintura) dove si vedono ancora soltanto le mani e il viso offerti l’immobile che accoglie perché chi precede ha ceduto prima non ha più spazio è libero vive come un deserto tra le linee pure le forme colme che nulla determina e che la sola vuota distanza dissolve dove la poesia allora se il suo solo stupore è il nome che porta per un altro branditi per designare e perdere le insegne gettate bruciano senza violenza nella memoria del maestro (il tè comincerà con l’antico uso dei bracieri) ne converranno dopo l’invito e le formule d’accoglienza che la distesa infinita l’appagamento l’attesa senza oggetto il benvenuto senza offerta né promessa un po’ di spazio che gira a modo suo senza fuggire ai contrappesi che muovono astri né agli equilibri incerti del respiro 

où alors le poème l’hôte celui qui reçoit paraissant 
dans la robe sans plis droite un peu raide blanche aux impressions répétées (vol de canards dans un ciel sans couture ni ceinture) où ne restent visibles que les mains et le visage offerts l’immobile qui accueille parce qu’il précède a cédé avant n’a plus de place est libre vit comme un désert parmi les lignes pures les formes pleines que rien ne détermine et que la seule distance vide dissout où le poème alors s’il n’a de heu qu’avec le nom qu’il porte pour un autre brandies pour désigner et perdre les enseignes jetées brûlent sans violence dans la mémoire du maître (le thé commencera par le long usage des braseros) ne conviendront après l’invitation et les formules d’accueil que l’étendue infinie l’apaisement l’attente sans objet la bienvenue sans offre ni promesse un peu d’espace qui tourne à sa façon sans échapper au contrepoids mouvant des astres ni aux balances hésitantes du soufflé

allora per ogni casa ritta davanti l’entrata (questo spazio dell’occhio nel cerchio delle braccia in questo territorio d’aria prima della paura) serve un segno un capolettera all’inizio il dedalo verticale di una maiuscola decorata un portico di trasgressione un’opera per passare un luogo di linee d’ombre e frontiere (e la scrittura è questa superficie nera dietro l’inchiostro decorata in pieno: il segno dell’eclissato) una porta dove cambiano si scambiano e s’appoggiano come alla bocca dei ritmi dei battiti venuti da profondità differenti un portico con uno svolazzo di uccelli un volo di vocali in un bianco puro privo di consonanti una cadenza di pose e scarti incavi e curve e ferma su questo simbolo vuoto: l’attesa il raddoppiamento della lentezza di fronte alla privazione e il cordone tagliato di un limite che c’è senza sapere né perché né come davanti a questa scadenza a questo libro fuori dal libro dove ogni immagine fugge e corre lungo prospettive confuse parallele del silenzio

alors pour chaque maison debout devant l’entrée (dans cet espace de l’œil dans le cercle des bras dans ce territoire d’air avant la peur) il faut un signe une lettrine au début le dédale vertical d’une majuscule enluminée un portique de transgression un ouvrage pour passer un lieu de lignes d’ombres et de frontières (et l’écriture est cette surface noire derrière l’encre éclairée de plein fouet: le signe de l’éclipsé) une porte où changent s’échangent et s’appuient comme à la bouche des rythmes des battements venus de différentes profondeurs un portique en paraphe d’oiseaux un envol de voyelles dans un blanc pur découpé de consonnes une cadence de poses et d’écarts de courbes et de creux et à l’arrêt sous ce symbole vide: l’attente l’adoubement de la lenteur devant la privation et le cordon coupé d’une limite là sans savoir ni pourquoi ni comment devant cette échéance ce livre hors du livre où toute image fuit et court le long des perspectives confondues des parallèles du silence

è questo avvicinare donna che sottrae il punto fisso tu fatta d’assenza ritiri erosione di attrattive oscure aspirazioni di richiami improvvisi quanto quelli dello zucchero e della sete di lampi dolci d’orgasmi condivisi che ruotano schiacciati contro un niente la cui bocca assorbe ogni cosa e nutre la vertigine degli astri donne d’erba calpestata d’abbondanza e odori il cui destino è quello del boccolo di lana tornata su se stessa nel boccolo del nodo è quest’avvicinarsi al punto dove noi non potremo niente per noi dove saremo seduti amanti inseparabili in questa notte senza uscita di fronte agli spazi incendiati alle esplosioni dell’origine dove non avremo nomi per cercarci a parte quelli dei primi materiali del mondo le parole iniziali iniziatiche le grida elementari che ci tenevano stretti attorno alle braci paurosamente mantenute le sere in cui gronda il temporale una volta in più resteremo senza difesa nudi come un insulto e belli in un modo strano di cui non saremo altro che l’evidenza una volta in più guarderemo senza soccorso quelli che soffrono solitari più indifesi della settima acqua sulle foglie di tè e la cui agonia dopo la spoliazione e l’abbandono ci perviene attraverso una difficile respirazione sotto il silenzio e il gemito delle onde

est-ce approcher femme qui dérobe le point fixe toi faite
d’absence d’arrachements d’érosion d’attirances obscures de succions d’appels soudains autant que ceux du sucre et de la soif d’éclairs doux d’orgasmes partagés roulant écrasés contre un néant dont la bouche absorbe tout et nourrit le vertige des astres femmes d’herbe foulée d’abondance et d’odeurs dont le destin est de boucle de laine revenue sur elle-même dans la boucle du nœud est-ce approcher du point où nous ne pourrons rien pour nous où nous serons assis amants inséparables dans cette nuit sans issue face aux espaces enflammés aux déchaînements de l’origine où nous n’aurons de noms pour nous chercher que ceux des premières matières du monde les mots initiaux initiatiques les cris élémentaires qui nous tenaient serrés autour des braises peureusement entretenues les soirs où l’orage gronde une fois de plus nous resterons sans défense nus comme une insulte et beaux d’une manière étrange dont nous ne saurons rien que l’évidence une fois de plus nous regarderons sans secours ceux qui souffrent solitaires plus démunis que la septième eau sur les feuilles du thé et dont l’agonie depuis le dénuement et l’abandon nous parvient par une respiration difficile sous le silence et le gémissement des vacue

nello sguardo
la coda chiusa del pavone
a spazzare la distesa

la nudità comincia
con lo sguardo
puro

e il corpo
è subito prima quello
che si abbandona e non sa più

l’aria
a un tratto più greve
come attorno a un amante

dans le regard
la queue fermée du paon
balayant l’étendue

la nudité commence
avec le regard
pur

et le corps
est juste avant cela
qui s’abandonne et ne sait plus

l’air
soudain plus lourd
comme autour d’un aimant

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