COLLANA CHIARA
Poesia italiana contemporanea
CHIARA DE LUCA, animali prima del diluvio
Prefazione di Gianluca Chierici
ISBN 978-88-96263-32-7
pp. 120, € 12,00
Prefazione di Gianluca Chierici
L’oltre è visibile. Ci ricorda la mappa per tornare a vivere, per prendere le cicatrici e soffiarci dentro un nuovo spirito. Ma c’è qualcosa da bruciare tra queste rovine di uomini e donne, tra queste allucinate ricerche che fanno della salvezza l’unico credo. La fiamma è un Sì, netto, come il colpo di un pugnale che incide la scelta, un fiorire di coincidenze, un’impronunciabile vergogna. Coincide con il pianto, con il sudore, con l’incendio che ha infiammato la voce, prima che la memoria si facesse sghemba e il battito piantasse nel buio le immagini del naufragio. Prima dei grani, del rosario divorato dalla deriva, una guerra segreta ha contagiato l’orizzonte. Le leggi d’amore si posano agonizzanti nel dilatarsi del sogno, come una promessa distratta, rubano il sonno alla notte. Non basta l’attesa per frugare tra i confini del silenzio, non bastano le ombre a inscenare un teatro crudo e cieco, dove gli uomini si annidano come spettri, per non dover più credere al contatto della pelle, allo sfiorarsi delle dita. Animali prima del diluvio è un libro che risale nel corpo dopo la lettura, che ritenta la strada del cuore, assediando le vene. Riavvolte nella tenerezza, le sere sputano le salme di ciò che siamo stati. Estirpano la radice dalle costole, l’alfabeto dal ventre. È necessario carpire questo tacere dei chiodi, questi stipiti immaginati che ci condannano a un varcare dissennato e implacabile. Le porte coi loro lumi, attirano il sentimento fin dentro le nervature dell’altro, in somiglianze indecifrabili ritraggono le svolte del destino. Il sangue è bianco di una carta che non vuole rappresentare tragedie. Pieno di figure incerte che camminano tra le mani, dove le linee del tempo continuano a scavare, un mare d’anime cucito alla resa. C’è una voracità che trasloca dalle labbra all’aurora, in questo piovere d’astio e dispersi, deviando gli spartiti verso il canto, ascoltando del vento la preghiera. Chiara De Luca penetra in queste pagine, la tempesta delle coscienze, lo smarrimento degli occhi di fronte ai ruoli, di fronte all’eterno artificio. Ritrova una prigione a tutela delle piccole luci via via disseminate nei tremori. Se l’attimo crolla nell’altrove, senza compiere la vicinanza, le parole come gocce devono lasciarsi assorbire da questa morte che precede il lievitare, questa nuova terra che ringrazia gli alibi che hanno strappato la solitudine, come una poesia sbagliata. Dimenticando la furia degli sguardi, la pazienza velata dal terrore, il morso che fissa ogni verso tra delirio e desiderio, armando gli angeli di minuscoli singhiozzi. L’alluvione non è una predica. È cedere la propria carne tra le pieghe dell’assenza. Svanire nel domani, nel nome che porta tra le labbra, le pronunce di grazia e abbandono.
Segnalata al Premio Montano 2010, sezione “Inedito”, animali prima del diluvio è una raccolta antologica cui ho dato una struttura tematica e stilistica coerente e organica, nata da una selezione effettuata su un corpus molto più ampio di testi, comprendente:
I grani del buio, raccolta parzialmente edita su varie riviste, tra cui “Poesia”, “La Barriera”, “Capoverso”, nel volume collettivo Lo spirito della poesia (Fara 2008), nell’Annuario 2008 di “Tellus”, nell’antologia Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008), nell’antologia Pro/Testo, (Fara 2009) e in siti letterari, tra cui “La dimora del tempo sospeso”, “Blanc de ta nuque”, “Farapoesia”;
confinando l’inverno, silloge classificatasi seconda al Premio Giorgi 2008, sezione “Inedito”, presentata su “Le voci della luna”, con una nota critica di Gregorio Scalise e sul sito di Fara Editore, con una nota critica di Alessandro Ramberti;
del vento la preghiera, (2009) breve silloge poetica di cui alcuni testi sono stati pubblicati nell’antologia Demokratika, a cura di Ivan Pozzoni (Liminamentis, 2010).
La selezione originaria è stata integrata con una scelta di testi da La corolla del ricordo, raccolta pubblicata in versione bilingue con traduzione in inglese di Eileen Sullivan (The Corolla of Memory, Kolibris 2009), e poi ripubblicata nella sola versione italiana (Kolibris 2009, 2010)
Chiara De Luca
a te
come a un inverno immaginato
dall’interno scampato annegamento
nell’enorme alluvione vista dall’alto
grata come a un incubo dissolto
*
È un campo ferito la storia di ciascuno
sentieri infiniti si aprono ai confini
selci sono pietre miliari di domande
sabbia morbida ad accogliere le orme,
in un proliferare dissennato di stagioni.
Puoi entrare di tallone, o più leggero
lasciando tra le dita scivolare i grani,
di piatto calpestare l’erba o consentire
che disteso a croce ridisegni il tuo profilo,
strappare vorace frutti acerbi o avere cura
di arbusti che crescano in tronchi da scalare
Lei sulla sua terra incoronò un assoluto
sovrano conferendogli potere,
di vita, di morte,
o di capire.
*
Abbiamo aperto i boccaporti del buio
a farci caldo solo di pensiero,
entra freddo nelle parole
nudate del senso fino al silenzio.
La mano me la strappi di mano
mi chiudi in un angolo e torni
a forzare il fiume dentro un bicchiere.
Faccio pressione sulle pareti
di vetro scompongo frantumi:
acqua si divincola, e cocci.
*
Ci vorrei stanotte ritornati
animali prima del diluvio,
lasciarci il coraggio di un approdo
sicuri incastonare la prua della nave
nella sconosciuta baia del vissuto.
Raccogli naufrago nel vento il mio sbandare
agitarsi di mani appese a rami emersi,
appuntando gli occhi brancolanti a una cima.
Perché la pelle nuda da sola non riscalda,
avvolgersi del manto generoso dell’infanzia
accovacciati in fondo a una tana condannata
dove il gioco lento è scivolato nel massacro,
riapriamo nella carne cicatrici per leccare
animali prima del diluvio.
*
Ha slarghi di sonno l’incedere del giorno
impastando notturno la farina della resa,
in alto si schianta il corpo di un lampione
profila nel nada la testa luminosa,
passi sono spari di silenzio nel viavai
d’auto in branco nel recinto delle strade,
fughe di guardrail finiscono nel ventre
di colline disadorne all’altare della resa.
Avvolti di vibrante solitudine ferina
abbiamo volto gli occhi di miseria nel passato
denocciolato il senso alla polpa del futuro,
abbiamo indurito lo sguardo contro il muro,
ceppi spezzati impedivano l’andare
contratto allo spiraglio dove
un fiore stringe, incapace a risalire.
*
ad Aisha
La bambina araba mi chiama
perché come un tempo le sorrida,
si accuccia in un angolo, sta zitta
abbraccia le ginocchia e incupisce.
Per vendetta sparge carte colorate
in mia assenza sopra la mia soglia,
pensieri da raccogliere al ritorno.
*
Ho spiato scendere la luce
tra le fitte tegole nascondere
rosata la vergogna, e proprio lei
che denudava gli occhi nel mattino
Ne ho visto il barcollare lieve
lungo i vetri come a non volere
abbracciando ombre camuffarsi
per svanire. Dicono sia errore
anche in incognito il peccato
vestendo panni candidi d’amore.
*
Vedi com’è chiara questa luce di settembre,
limpida e tagliata senza tregua in trasversale
da lame d’aria così fredda che ti chiedi
come facciano a convivere col sole al suo placarsi.
Vedi com’è bella Bologna specie a piedi
nelle strade che improvvise rinascono nel centro
quando arrossa e commuove tutto nella sera.
Sembra quasi possibile ogni cosa al suo finire
*
Si abituano in fretta alla luce
gli occhi se il cielo saluta
il primo giorno del mondo
intessendo ventagli di ali
sull’abito grande d’azzurro
mentre si sciolgono i nodi
d’acqua e increspano sbuffi
di spuma che il vento ricama
È tempo di correre fino a cadere
sputare il fiato che ancora rimane
a dissipare la sabbia dal cuore
scivolare via la pelle in sudore
come davvero si potesse cambiare
*
Come questo stralcio di strada che nessuno
ha sporcato eppure piano ti riapre nel mattino
un varco ampio tra i grani che hanno appreso
a mutarsi verso il sole senza essere parlati
Un anno ha fatto il buio da confine al buio
ha chiuso la sembianza di parole in ombre
occultato oscuri spigoli in vastità di attese
di una luce relegata nell’eterno suo a venire,
la bellezza devastante che va oltre la miriade
di pupille iridescenti tra le onde spalancate
su quello che neppure abbiamo rinunciato
per avere chiuso gli occhi prima di guardare
rivenuto a piedi scalzi l’incubo peggiore
dissolverà o divorerà domani
*
Ti condurrà forse un giorno lontano
la claustrofobia di uno sguardo
dalle vaste assenze che ci hanno abitato,
dove non hanno gli occhi sentieri
a segnare netta la disgiunzione
di funamboli scaltri al punto di fuga
spianando il ventaglio che irradia
un domani possibile al vento
*
Adesso non so più se sono io
che vengo al mondo o il mondo
che traccia ritrovato il proprio nome,
se a leggerlo vuol dire nominare,
tra le labbra imito le forme
con gli occhi avvicino i confini dei colori
lo sguardo si spiana in un ventaglio di stagioni,
se ci abbia infine perdonati il tempo
o soltanto graziati in assenza nel passare
Categories: Italian Poetry
Che piacevole sorpresa!Non vedo l’ora di leggerla con calma. Complimenti e in bocca al lupo
Un caro saluto
Grazie mille Luca, e crepi il lupo!
Un abbraccio, a presto
Chiara